Compenso avvocato: mai sotto i parametri minimi

Compenso avvocato: mai sotto i parametri minimi

La Cassazione si è recentemente pronunciata in favore dell’equo compenso per gli avvocati, confermando e rafforzando l’indirizzo della giurisprudenza. Quest’ultimo statuisce, infatti, il divieto per il giudice di liquidare sotto i “minimi” il compenso professionale dell’avvocato. Anche nel 2015 e 2016 due sentenze della Cassazione e una della Corte di Giustizia Europea avevano riconosciuto l’illegittimità di compensi sotto i parametri minimi.

Stop alla liquidazione del compenso avvocato sotto i minimi

La sentenza della Corte di Cassazione ha origine da un ricorso contro la decisione della Corte d’Appello per aver, in violazione del D.M. n. 55/2014, liquidato il rimborso spese agli avvocati al di sotto del minimo legale in fase di rinvio. Il D.M. n. 55/2014 è un regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’art. 13, c. 6, della Legge 247/2012.

La Cassazione, nell’ordinanza n. 21487/2018, ritiene e ribadisce che il regolamento sui parametri di liquidazione dei compensi per la professione forense, quindi il sopraccitato D.M. n. 55/2014, deve essere sempre preso in considerazione, evitando di concedere agli avvocati a titolo di spese legali importi inferiori alle soglie previste. Il giudice nel liquidazione di spese legali non deve riferirsi al D.M. n. 140/2012.

Quest’ultimo, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo art. 1, c. 7, dispone infatti che “In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa“.
La Cassazione, non condividendo l’opposta opinione sul punto, ritiene che il D.M. n. 55/2014, nella parte in cui determina un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti (art. 4), possa considerarsi derogativo del D.M. n. 140/2012.

IL CASO

La vicenda in esame ha avuto origine dal fatto che la Corte d’appello aveva condannato il Ministero della Giustizia a pagare in favore di un certo soggetto la somma di Euro 1.666,00, a titolo
d’equo indennizzo per la non ragionevole durata di un processo di equa riparazione, nonché le spese processuali, liquidate in complessivi euro 405,00, oltre euro 8,00 per esborsi, oltre accessori, spese tutte distratte in favore dei due difensori antistatari.

Avverso il predetto decreto i due avvocati propongono ricorso per Cassazione. I ricorrenti avvocati espongono che la Corte di merito aveva violato o falsamente applicato gli artt. 91 c.p.c. e 2233 c.c., nonché il D.M. n. 55/2014, per avere liquidato il rimborso spese sotto del minimo legale in fase di rinvio.

LA DECISIONE

La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 21486/2018, ha ritenuto il motivo fondato ed ha accolto il ricorso. In primis viene osservato che la liquidazione effettuata dalla Corte d’appello in complessive euro 405,00 per la fase di rinvio si pone al di sotto dei limiti imposti dal D.M. n. 55/2014, tenuto conto di valore della causa (da euro 1.100,01 a euro 5.200,00), pur se applicata la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell’affare (art. 4).

La Cassazione non condivide inoltre l’opinione secondo la quale il D.M. n. 55/2014, nella parte in cui determina un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti (art. 4) non può considerarsi derogativo del D.M. n. 140/2012, in quanto quest’ultimo risulta essere stato emanato allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l’avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale.

Per contro, conclude la Cassazione, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55/2014, il quale non prevale sul D.M. n. 140/2012 per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poiché, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione resistente, non è il D.M. n. 140/2012 a prevalere, ma il D.M. n. 55/2014, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa (cfr., ex multis, Corte di Cassazione, Sez. II, n. 1018, 17/1/2018).

Pertanto, la decisione impugnata viene cassata e, decidendo nel merito, liquida a titolo di spese l’importo complessivo di 1.198,50 euro, oltre spese generali e accessori, oltre 8,00 euro per esborsi, con distrazione in favore di difensori antistatari.

FonteCorte di Cassazione,  ordinanza n. 21487/2018

 

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Ho conseguito la laurea in Economia e Gestione Aziendale e da sei anni mi occupo di digital marketing. Sono responsabile del blog SmartFocus e gestisco i canali social di VisureItalia® curando i rapporti con la community dei lettori. Ogni giorno mi informo su nuove normative in campo fiscale, tributario o economico e mi piace condividere le mie conoscenze con i nostri lettori.

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